Bussi o della tematica coloristica
Di Vinicio Saviantoni
La pittura di Bussi appare, a una prima lettura, tecnicamente impostata su moduli tradizionali. Tela,
olio, pennelli: tutto l’armamentario classico sembra, agli effetti, insostituibile per il pittore. Anche
la composizione è impaginata secondo antica consuetudine di primi piani e prospettive (qualche
volta è usata l’interpolazione, sebbene essa non figuri come cosa a sé ma si reinserisca in un
insieme: ambiente o paesaggio). Un figurare, insomma, quello di Bussi, ortodosso se interpretato da
un punto di vista di sapienza tecnica: un pittore cioè compiaciuto (a prima vista) di “figurare” con la
sua scaltra esperienza in un cerchio di interessi paesaggistici a concentrazione colorica, senza
drammi né sociali (problemi dell’uomo) né di ricerca (il problema delle avanguardie).
Ma Bussi non è questo.
Vive al di dentro di questa prassi esteriore un’altra necessità che è appunto quella di penetrare la
vera essenza della realtà nel suo essere come nel suo divenire, ma senza scarti di forma né forzature
alloglotte al linguaggio stesso puro e primordiale della natura.
Questo egli cerca di ottenere anche se, apparentemente, sembra esprimersi coi modelli e coi media
della educazione visiva di sempre. Egli infatti cerca la struttura interiore della mimesi pittorica, il
suo valore psicologico, ricostruendo la “storia” del proprio io attraverso le esperienze classiche del
dipingere. L’estro, l’invenzione, stanno dentro la natura della propria arte, non fuori, nei segni
esteriori, onde il fatto puramente tecnico viene travolto, reso inutile, investito com’è da questa
urgenza di necessità pittorica, tout court.
L’elemento chiave è dato dal colore, anzi da un “accoramento colorico”, fattore unico, determinante
sia di una necessità di figurare sia di una necessità di vivere “dentro” la pittura. I contenuti sono, in
lui, questa necessità di espressione acrostico-cromatica, una sorta anche di duello tra materia e
colore. La potente carica espressiva sottomette la materia non alla tecnica ma alla propria
espansione lirica e cromatica. Così disegno, tecnica, soggetto, prospettive, sono come svaporati da
quest’altra urgenza, inutilizzati come valori in sé ma finalizzati ai termini di una resa soltanto
poetica.
Se Bussi non rinnega la pittura, rinnega il concetto di pittura come forma: disarticola la sintassi del
processo del colore come, in poesia, fecero dapprima i crepuscolari, poi il Campana dei Canti
Orfici, e infine tentarono gli ermetici.
Dissonanze, copulazioni cromatiche, dissociazioni, accenti, timbri, accordi analogici, questi sono
veramente i “media” usati dal pittore per il quale, ripeto, paesaggio o figura, forma e colore,
astrazione o figurazione, sono termini aleatori di un’altra realtà ben piu profonda che, se oscura alle
origini, diventa chiara, in lui, nell’urgenza e nella potenza del raffigurare.
Un sentire per colori quindi e non per immagini: ed è sentire musicale.
Forse mi sono lasciato un po’ prendere la mano e sopraffare dall’occasione senza pensare alla
destinazione del quadro bussiano; ma, a mio avviso, queste sono le cose che stanno alle radici
dell’ispirazione di Bussi. E nelle opere migliori il mio assunto trova conferma.
Per tornare all’analisi del quadro, dirò che la pittura di Bussi, pur conservando qualche spessore
materico, sprigiona luce, anzi quasi abbaglia l’occhio. Può sembrare effetto di retorica, ma è invece
effetto di sentimento. La traccia si perde: ci smarriamo nei labirinti delle associazioni e
dissociazioni cromatiche, “leggiamo” non il racconto ma gli “aggettivi” del suo lessico. E gli
“aggettivi” sono i colori.
Che ci siano alberi o case, non importa. Ci sentiamo presi dall’atmosfera del quadro mentre vibrano
le corde interiori del nostro sentimento. Si instaura certamente tra noi e il quadro un rapporto di
godimento estetico, quasi sensuale, ma piano piano questo godimento travalica la pura materialità
solipsistica e diviene di natura prettamente spirituale.
Si sente la presenza dell’autore come “condizione” passionale e fantastica, nonché una sua
pretensione di “rottura” tutta affidata agli impeti lirici e non alla stranezza delle forme, che è,
appunto, il suo modo di essere e di proporsi. In ultima analisi, è il suo modo di sviluppare la propria
“tematica”.
Questa tematica non è resa evidente da formalismi, ma è proprio nel modo così semplice di
“porgere” dell’artista, in una sorta di “facilità difficile”, onde gli aspetti piu usuali della realtà
(alberi e case) sono rappresentati con icastica purezza, perché non in questo risiede il suo proposito
e di ispirazione e di destinazione, ma nella capacità di comunicazione attraverso il colore.