CRITICHE

Franco Miele

Fantasia creatrice di Renato Bussi Di Franco Miele Espressionismo e tonalismo si fondono armonicamente nell’autonomo linguaggio di Renato Bussi che, dopo aver assimilato le più avanzate esperienze della cultura contemporanea, dimostra di muoversi da tempo su un piano di estrema fantasia creatrice. In tal senso, l’artista sfugge alle aride classifiche e alle schematizzazioni intellettualistiche, per riproporre in una proiezione emotiva un diretto colloquio tra l’uomo e le cose, l’uomo e i sentimenti. Una sua “perlustrazione” nei più vari paesaggi d’Europa -- dalla Francia all’Olanda, dalla Spagna alla Grecia, dalla Svezia alla Germania, nonché con continui ritorni al clima italiano -- va intesa nell’ambito di una discorsività che non mira soltanto a spezzare i limiti dei confini territoriali, ma soprattutto si traduce nell’esigenza di esaltare luci e colori, forme e strutture di una “realtà immaginifica” pervasa da slanci inquietanti, o da attimi di riposo che preludono a nuove tensioni. L’essenza di questa pittura prende di conseguenza quota in un intuizionismo vitalistico, perché l’arte – secondo l’insegnamento sempre valido del filosofo H.L.Bergson – persegue l’obiettivo di “scartare i simboli praticamente utili, le generalità convenzionalmente e socialmente accettate, infine tutto ciò che nasconde l’apparenza, per metterci di fronte alla realtà stessa”, in una crescita di valori rivolta non alla conquista esteriore del mondo o alla descrizione ambientale della natura, ma soprattutto alla “verità dei sentimenti”. E questa verità, fatta a volte di rapide percezioni, è l’unica che può appagarci, in quanto si diversifica dalle fredde leggi della logica e, come in un miraggio, ci porta alle soglie del temerario e dell’entusiasmo, per lasciarci cogliere la forza primigenia della bellezza. In coerenza con tale atteggiamento Renato Bussi, dopo aver maturato fatti e problemi, si “avventura”, per così dire, sulla tela bianca, liberandosi di ogni sovrastruttura cerebrale, e collocando idealmente i suoi “stati d’animo” in un impianto che non è soltanto pittorico, ma spazio cosmico ricco di sussulti e di campiture, di ritmi audaci e pacate distensioni, in una continuità di rapporti. I gialli, i verdi, i viola, i bleu, i rossi, i bianchi, che si effondono tra rocce e betulle, isbe e casette, architetture e terreni, fiori ed ulivi, diventano indici di “eventi interiori” che, per l’appunto, evocano e sottintendono ciò che umanamente accade in noi, quando ci si immerge nella natura come in un fiume che scorre. Immanenza e trascendenza si amalgamano in un movimento intrinseco, per cui, secondo la suggestiva immagine di Giordano Bruno, non v’è “né un alto né un basso, né un prima né un poi, né notte né giorno, né inverno né estate, né nascita né morte”. Le visioni di Amsterdam o Parigi, della Bretagna o della Calabria, della Spagna o della Grecia, ci aiutano a fuoruscire dall’astrazione contemplativa, per impossessarci dal di dentro della materia che si plasma e con la quale, contemporaneamente, noi stessi ci plasmiamo, per trapassare quasi dal visibile all’invisibile. E Renato Bussi ha il pregio di trasferirci, con la sua orchestrazione cromatica, nel centro di una tale situazione, che è soprattutto esistenziale o, se vogliamo, fenomenologia, per cui dei suoi dipinti resta sempre nel nostro animo una traccia, un segno, uno stimolo di godimento spirituale. In questa operazione di “ricupero” di una significazione pittorica che travalica la semplice raffigurazione, si avverte che Bussi sfiora e penetra in quel regno della libertà, ove anche la nostra particolarità riflette il valore dell’assoluto, poiché, come ancora sottolinea Giordano Bruno, “quando il senso monta all’immaginazione, l’immaginazione alla ragione, la ragione all’intelletto, l’intelletto alla mente, allora l’anima tutta si converte in Dio e abita il mondo intelligibile”. Ma il sottrarsi ad ogni regolarizzazione prestabilita è possibile – come nel caso di Bussi – quando il linguaggio (e la pittura è linguaggio) è suffragato da quella poesia che vivifica non soltanto l’istinto, ma la ragione stessa.