CRITICHE

Maria Laura Giordo

Il “notturno” nella pittura di Renato Bussi Di Maria Laura Giordo Nel lungo percorso artistico di Renato Bussi ritorna spesso l’interesse per le possibilità pittoriche offerte dai notturni, analizzati parallelamente e contemporaneamente ai valori della luce piena, quella del giorno. Il tema non costituisce un punto di partenza, ma di arrivo. Il punto di partenza è un colore tematico. L’interpretazione del colore dà il titolo alla composizione. E’ così che più volte, nell’arco della sua lunga attività (pochi sanno che Bussi ha scoperto la sua strada già all’età di otto anni), si è trovato ad analizzare lo stesso tema, ogni volta con tonalità e tecniche più raffinate. Distinguiamo quattro momenti. Una composizione esprime il notturno con toni grigio-scuri, neri, ruggine e barlumi di bianco, in un giuoco ondeggiante, ma chiaramente articolato, di toni, stesi piatti uno accanto all’altro, a creare forme, a suscitare emozioni. L’impressione finale è di una fissità che cerca il movimento, di un’aria densa. In un secondo momento, c’è un nascente, nuovo modo di affidare alla tela la vibrazione della luce, la luce notturna, mantenendo ancora un contrasto con il colore pieno e piatto. Nel terzo momento, tutto è leggero, vibrante, atmosferico. La notte si riempie di stelle, di lune e di raggi lunari, diventa scintillante, aerea, serena, quasi colorata. Ed ecco il quarto momento, là dove la materia pittorica si smaterializza, la luce e l’ombra si fondono in un pulviscolo atmosferico carico di emozioni. L’effetto è quello di una stasi densa di un possibile movimento. Ma, come orientarsi nella comprensione, come guardare e capire questo percorso? L’occhio coglie, a prima vista, l’effetto dell’insieme, e l’insieme ci appaga, ma bisogna addentrarsi nell’opera, guardando con sempre maggiore attenzione e seguendo i suggerimenti che sono molteplici, come un intreccio di fili che si possono dipanare uno alla volta o un accordo di suoni dove l’inesperto coglie l’armonia dell’insieme e l’attenzione dell’esperto scopre pian piano il perché di questa armonia. Del resto, Bussi lo dice spesso: l’accordo dei colori è anche accordo di forme ed ha un preciso parallelo con gli accordi musicali. Un quadro riuscito è come una bella sinfonia. Ecco perché la sua pittura è complessa e va guardata con pazienza e attenzione: solo nell’osservazione prolungata, offre sempre più argomenti, sempre maggiori emozioni. E’ una pittura che nasce da dentro, ricca perché ricco è il pensiero pittorico dell’autore. Bisogna entrare nell’ambito di questa forma di pensiero, per capire fino in fondo. La competenza, o la sintonia, dell’osservatore è necessaria per comprendere. Senza questa, si può cadere nello sterile tentativo di cercare soggetti conosciuti: mari, paesaggi campestri, cieli. Il pensiero pittorico è una traccia emotiva che una situazione lascia nell’animo dell’artista, il quale è poi capace di ripercorrerla attraverso forme e toni di colore. “Interpretare un colore”, dice Bussi. Certo, siamo abituati ad associare il verde al prato, il blu al mare, il marrone alla terra. Sono correlazioni simboliche del nostro vissuto, perlomeno quello occidentale. Ma non è compito della pittura ripetere questi percorsi. Avulsa dal simbolismo codificato, questa pittura indaga, invece, percorsi interiori, mai ovvii, mai di maniera, per proporre un linguaggio che richiama una parentela con la “parola” poetica e con quella musicale. Parola allusiva, densa di significati, fortemente evocativa, e un linguaggio in cui il colore ha valore di per se stesso e trova il suo significato nel rapporto con le forme e con gli altri colori. Ancora una volta, dunque, l’interesse del pittore è tornato al notturno.Lavora a un’opera in cui bagliori argentei si intravedono tra fasce di blu diversi: un occhio inesperto considererebbe quest’opera già finita, tanto è gradevole il primo approccio. L’artista, invece, si considera solo all’inizio del suo cammino. C’è una parte in basso a destra che è ancora informe, potrebbe essere confusa col “non finito”: ma il “non finito”, per lui, non è una parte lasciata incompiuta solo perché casualmente l’accordo dei toni e delle forme è abbastanza piacevole. Ogni centimetro quadrato della tela è frutto di lavoro, di tecnica, ma anche e soprattutto di idee. L’artista è insoddisfatto, ha bisogno di “raccontare la notte” – sono le sue parole – e non riesce a “trovare” il modo. Ed è arduo per noi, semplici spettatori, capire cosa significhi in pittura “racconto”. Normalmente, lo associamo al termine cercare, per noi sono praticamente sinonimi. In realtà, la ricerca non implica necessariamente una conclusione, mentre “trovare” implica certamente la ricerca, ma finalizzata al risultato finale, che non è prestabilito, non è previsto, e non è neppure “risolto”, termine che allude all’uso della tecnica, di moduli già sperimentati, più che all’avventura della creatività. Perciò, “Non cerco, trovo” è il suo motto, come già lo è stato di Picasso. Bussi ha contrastato, attenuato i bagliori freddi dell’acciaio con passaggi di trasparenze venate di un leggero viola. Questo notturno si è già acceso di un certo calore e sopra è già incominciato il racconto. E il racconto si esprime in un viluppo di segni neri che, a tratti, si allargano in forme più corpose. Il nero si stacca dai fasci blu come fosse l’allusione a neri pensieri che percorrono la notte. Ma l’artista non è ancora soddisfatto, non ha ancora trovato. Che cosa? Qualcosa di così interessante da sorprendere lo spettatore. Perché è questo che l’artista deve fare: sorprendere, presentando qualcosa di inedito, di nuovo, di veramente creato. “E’ inutile, allora – dice allo smarrito pubblico – chiedere qualcosa di rassicurante, forme già conosciute e percorse precedentemente, dove nessuna sorpresa ti coglie impreparato, distogliendoti dal comodo mondo del già visto, del già vissuto”. Compito dell’artista è offrire un’opera di qualità, dove l’occhio allenato possa penetrare e ricostruire tutti i percorsi, da dietro alla tela fino alla superficie: ma, appunto, “tutti i percorsi”, perché in superficie c’è solo l’ultimo lavoro, ma non tutta la storia. E verrebbe da pensare che, a questo punto, un artista con tanta esperienza e tanta produzione abbia ormai definito il suo cammino, potremmo pensare di affidarci – noi che crediamo di aver compreso – alla contemplazione di una produzione riconducibile ad uno stesso “stile”, a un’impronta magica, a quel segno che rende caratteristica e riconoscibile l’opera di un “grande”. E così è per ogni periodo artistico di Bussi. Solo che quando l’artista ritiene di aver percorso fino in fondo un’avventura pittorica, nonostante i consensi del pubblico (anzi, per assurdo, forse anche a causa di quelli), cerca vie nuove, ci sconvolge inventando nuove tecniche, trovando nuovi accostamenti di colore: perché, come tutti i veri artisti, Bussi ha paura solo di ripetersi, di cadere nel manierismo, nella contemplazione del già fatto. Questo significa mettersi continuamente in discussione, non accettare mai vie facili, evitare di offrire sempre lo stesso prodotto, anche se ha già incontrato il favore degli spettatori. Ed è una lezione, questa, tutt’altro che teorica, perché a 72 anni soffre ancora davanti alla tela bianca, tutto teso a trovare il nuovo, il diverso, un’altra strada non ancora percorsa, ma proprio per questo piena di fascino. Il tema attuale può essere ancora quello della notte, del vento, dell’aria, della sonorità. Sui suoi temi è tornato più volte, riflettendoci, scrivendo, raccontando storie, sensazioni,emozioni. Da un quaderno del 1978 emergono vecchi e attuali pensieri, annotati a matita quasi con trascuratezza, eppure simili, nella loro poetica icasticità, alle sue opere. Perché in ogni suo “notturno” affiorano suoni, colori, accostamenti, che alludono a questi pensieri. Eccone alcuni: “Colori della notte nel silenzio delle lontananze” “Incontro di notti ascoltate dal basso della terra” “Attimi di tempo fra incroci di notti” “Dal bianco luminoso delle lune al nero perso oltre i confini della notte” “Contro il blu della notte antichi desideri e attese velate di luce del giorno” L’intensa armonia che Renato Bussi esprime così semplicemente nella parola è proprio quella che, con altrettanta intensità, esprime in pittura. Eppure, nonostante i risultati raggiunti, questa è una nuova stagione. Nella sua più recente produzione, quella dell’estate/autunno 1998, ritorna all’olio steso in dense materie pittoriche, immerse in una luce notturna con un vago balenare di luminosità che allude, di volta in volta, all’attesa del giorno e al bianco luminoso delle lune o al silenzio delle lontananze. Questa materia lascia intravedere la sua densità attraverso un pulviscolo sovrastante che ne allontana la presenza in un’atmosfera ovattata, in un’idea di non-finito. E il “non-finito” di Bussi rivela qui la sua qualità. Il “non-finito” non è l’opera incompiuta: è l’opera già finita ma nuovamente sconvolta e tolta al mondo della perfezione stilistica da un ulteriore intervento del pittore che annulla l’effetto già creato e che sta, comunque, sotto e visibile ma non evidente, presente ma non in primo piano. E così, eccoci arrivati alla luminosissima, sebbene notturna, visione di un’altra opera, “Gli spazi della notte nascondono il giorno”. La base è costituita da forti elementi cromatici, colori puri, piatti, ma allo spettatore si offre invece un opalescente, tenue chiarore stellare che copre questa vita, questi suoni, chiusi con forza da una cornice, questa sì, chiaramente notturna, dalla quale si dipanano segni, tracce, zone blu che si sovrappongono a quel lontano e ormai svanito ricordo del giorno. Deve essere proprio così, ora, per l’artista: il giorno e la notte che si affrontano in una comune, alterna vicenda, con la notte che non occupa tutti gli spazi, ma alla fine predomina e sovrasta, benché la luce del giorno sia lì, comunque latente e intuibile, ma non tangibile presenza.