Una storia tra colore e poesia
di Elio Filippo Accrocca
Da quando per la prima volta ha messo piede (e tavolozza) a Parigi, nel ’49, Renato Bussi ha parlato
europeo con la sua pittura: di capitale in capitale, ha toccato vari centri della cultura più moderna e
aperta alla contemporaneità, agli interessi e alle inquietudini di un continente non facile.
Artista di grande sensibilità e assai vicino alla poesia, ha saputo guardare, osservare e analizzare gli
aspetti più “interni” delle varie città. Non si è mai fermato alla superficie dei luoghi: ne ha invece
tratto i lineamenti e il carattere più segreto, penetrando nelle maglie culturali del paese,
illuminandosene e riflettendone la peculiarità, l’identità più nascosta e radicale. Altrettanto è
avvenuto nei confronti dell’arte e delle tendenze d’avanguardia italiane: dai maggiori del
Rinascimento ai più accreditati esponenti dell’arte moderna del nostro novecento. La sua attenzione
e il suo laboratorio di ricerca si sono sempre attenuti a questo spirito di rinnovamento, pervenendo
sempre a risultati di grande coerenza stilistica, come è dato di vedere nella odierna antologia della
sua opera.
Partito giovanissimo da certi scorci romani, d’impasto mafaiano aderente al colore e alla macchia,
Renato Bussi ha percorso un lungo tratto di esperienza pittorica, accanto a Monachesi e Omiccioli,
prima di arrivare a certi slarghi veneziani calibrati nella atmosfera delle migliori articolazioni, o alle
facciate parigine tra luce e ombra, o alle case di Bretagna e Grecia, Svezia e Olanda, Spagna e
Inghilterra, e alla stessa provincia italiana.Ma soprattutto Parigi e Venezia restano punti focali
nell’arte di Bussi. E’ qui che ha trascorso lunghi soggiorni, tornandovi a respirare aria e sapori,
atmosfere e colori.
Le “variazioni” appartengono all’area delle stagioni, dei frutti, dei paesaggi marini o urbani, delle
nature morte: in una molteplicità tematica e un affinamento tecnico che lasciano scorgere il
percorso dell’artista sino al periodo attuale.
Quasi quarant’anni di attività sul filo della più avanzata tradizione figurativa, affidando i risultati a
una serie di lavori che la critica ha sottolineato, individuando una personalità artistica libera da
influssi esterni.
La pittura di Bussi prosegue nel campo del paesaggio di grande luminosità, tra tonalità cromatiche
ricche di emotive acquisizioni e di ampi risultati. Una cultura artistica a livello delle migliori scuole
europee. E così la sua grafica.
Bisogna osservare le “sue” capitali leggendo nel suo itinerario: geografico ma insieme di studio e di
lavoro, variato ma sempre rispondente ad una esigenza di ricerca artistica, ogni volta egualmente
risolta in un proprio linguaggio, altamente tecnico e di sicura presa.
La raffinata aderenza all’ambiente mano a mano selezionato per ragioni di affinità elettiva appare
evidente: resta cioè – da una tappa all’altra – la sua scelta, la sua predilezione per l’esperienza
culturale che le varie capitali europee lasciano, coinvolgendo la vita stessa dell’artista.
I soggiorni a Parigi o Londra, Atene o Barcellona o Amsterdam ecc., sono i binari di un affinamento
e di un rapporto/confronto con i maggiori artisti – Matisse, Van Gogh, Braque, Kandinskij – che
hanno fatto scuola e lasciato un segno.
Intendo dire che Renato Bussi è uscito presto fuori dai confini italiani ed europei per addentrarsi nel
“colloquio” con i maggiori esponenti dell’arte contemporanea. Vale a dire, il primo periodo –
autenticamente figurativo – non si è “chiuso”, ma si è andato via via allargando, scoprendo nuovi e
più ampi suggerimenti e suggestioni, sino a incrociare esperienze dell’astrattismo: un tratteggio,
cioé, affidato al libero sincronismo tra materia e materiali, al continuo confrontarsi e compenetrarsi
dei colori.
Ora, in lui, dominante è il segno sciolto nell’immaginario: un’area di forte espressività, giocata nel
contrappunto e nell’arpeggio che sa di musica. Un lirismo – il suo – che ha il linguaggio della
poesia, la vocalità del verso sul pentagramma, l’accordo dell’interscambio “innestografico”.
Alle “cose” di un tempo, ora Bussi contrappone la realtà che sta “dietro le cose”: un titolo suo. E
non è, questo, l’ “oltre” della poesia? Temi a cui l’artista romano lavora da più di un decennio,
spesso in parallelo proprio con un gruppo di amici poeti, dando vita a una vera e propria “Nuova
scuola romana”, e ad una serie di cartelle di grafica che hanno dimensione europea. Autentiche
“carte” di una cultura del continente che lui stesso e gli amici poeti respirano da anni remoti. Una
“lettura” che suggerisce un comune rapporto tra l’arte e la poesia: un viaggio da percorrere e da
ripercorrere lungo un binario ideale e pratico assai suggestivo…
Mutata è in Bussi, ad esempio, la struttura delle facciate, delle scogliere, delle fioriture, ecc.: siamo
al “taglio” interno, alla segmentazione radiografica o “videografica” della natura, alla impronta o
alla esplosione che il colore opera nel riquadro ultrasensibile che sa il valore dell’arabesco, del
misterioso, dell’enigmatico, in tutte le loro ascendenze letterarie.
Il “mosaico” è un punto di arrivo: un atto della coscienza. Così le “proiezioni solari” nei loro riflessi
sugli oggetti, sul terreno, sulle pareti. O certi “notturni” geometrizzanti, dialoghi di forme o sussurri
del tempo e movimenti di linee e spezzature interspaziali. Punti d’incontro tra realtà e fantasia, cielo
e terra, interno/esterno, orizzontalità/verticalità.
Tutto nel ritmo sotterraneo di una poeticità moderna. Strati e strutture di una psicologia e
radiografia degli oggetti/paesaggi/stati d’animo.
Gli “accordi” più recenti nascono da libere composizioni oniriche, da visioni anatomiche della
natura. Ma suono e colore hanno data remota in Renato Bussi: come la poesia, tempo del sogno e
della fantasia, dell’apparenza e della realtà, del cosmo e dell’anima.
La sua pittura e la sua grafica vanno assumendo le caratteristiche di un’arte ormai librata nella più
personale esperienza, mantenendo le formulazioni europee di grande prestigio che già gli erano
congeniali.